Those Faces We No Longer See

DALLA PARTE DELLE DONNE AFGHANE

foto e testo di Laura Salvinelli

   

   “Se ora si percepisce la negazione dell’istruzione come la negazione di un diritto, domani l’istruzione non sarà nemmeno più percepita come un diritto, si negherà anche la sofferenza della sua mancanza perché non ci sarà più il suo desiderio, e questo è distopico”. A parlarci del secondo anno talebano, intervistata come le sue colleghe a distanza, è la ginecologa Keren Picucci, che lavora da 10 anni nel Centro di maternità di EMERGENCY nella Valle del Panjshir in Afghanistan. Nonostante le promesse sul rispetto dei diritti umani dell’accordo di Doha (il trattato di pace fra i talebani e gli USA del 2020), gli studenti coranici hanno emesso una lunga serie di editti e decreti liberticidi contro le donne. Le hanno bandite dalla vita pubblica: dal lavoro, tranne poche eccezioni, dagli spazi pubblici, parchi, palestre e piscine, dai programmi televisivi e soprattutto, le uniche al mondo, dall’istruzione secondaria e superiore, in alcune province da oltre la terza classe della primaria. Ad inizio agosto hanno chiuso i saloni di bellezza, ultimo spazio in cui le donne potevano incontrarsi e prendersi cura di sé stesse, dietro vetrine oscurate e poster pubblicitari con i volti sfregiati dalla vernice nera. A fine agosto hanno impedito alle studentesse di partire per gli Emirati Arabi Uniti per proseguire gli studi nell’Università di Dubai, nonostante le borse vinte. Il rapporteur delle Nazioni Unite sui diritti umani ha chiesto alla Corte penale internazionale se non sia in corso un crimine di persecuzione di genere. Il divieto dell’istruzione è quello che preoccupa di più, perché priva il Paese del suo futuro, a maggior ragione in una società dove solo le donne possono essere in contatto con le donne. Chi curerà le pazienti quando non ci saranno più dottoresse? Le coraggiosissime donne che scendono in piazza vengono disperse, bastonate, incarcerate e messe a tacere. Proteste più grandi non si possono fare, perché vige un controllo forte e capillare. Ma se e come vengono applicati i divieti, emessi dalla guida suprema, lo sceicco Hibatullah Akhundzada, dipende da chi governa effettivamente sul territorio fra le due principali fazioni dei talebani, una più ortodossa e una più moderata. La questione delle donne è fondamentale, la chiave su cui si gioca la stabilità dell’Afghanistan e il suo riconoscimento da parte della comunità internazionale.

   “Il governo sembra adottare un processo di normalizzazione che passa attraverso il silenziamento. La strategia è sfiancare le persone evitando il dissenso a faccia aperta con una politica di dire e non dire, fare e non fare: “chiudiamo ma”, “fra qualche mese sì”, passati i mesi, “ci stiamo lavorando”. Le persone vengono pian piano spompate, perché non si indignano mantenendo la speranza, nel frattempo si adattano, si abituano e si dimenticano”, racconta dal Panjshir la ginecologa Raffaela Baiocchi, che lavora nel Centro di maternità da 16 anni. “Lo stesso processo di silenzio e normalizzazione accade a livello internazionale e fa sì che dimentichiamo e non ci indigniamo per quello che sta accadendo qui”. Come può andare avanti il Centro di maternità di EMERGENCY gestito completamente da donne, 187 fra ostetriche, ginecologhe, pediatre, infermiere - formate dallo stesso ospedale le cui scuole di specializzazione post-laurea sono equiparate all’Università - e personale non medico? Ricordiamo che a dicembre due decreti hanno vietato alle donne l’accesso all’Università e di lavorare per le Ong. “Il settore sanitario per ora è escluso dalla “fatwa” contro le donne per quanto riguarda il lavoro. Ma è coinvolto per la formazione: le studentesse già iscritte possono proseguire il corso, però sono impedite le nuove iscrizioni e gli esami di abilitazione. Se la situazione non cambia, non ci saranno più nuove dottoresse”, denuncia. Chiaramente la guerra contro le donne è insostenibile. E in questa guerra, la linea dell’Ong è di assumere più personale femminile possibile. Come sono cambiate le pazienti e le donne dello staff in questi due anni? “Le pazienti sono sicuramente più bisognose, e abbiamo notato un abbassamento dell’età dei primi parti: arrivano da noi anche ragazze di 15 anni stimati - qui le età non sono sicure. La povertà e la paura hanno causato un boom di matrimoni. Le donne dello staff sono sempre più le breadwinners delle loro famiglie, quindi ancora più importanti. È una situazione complessa e contraddittoria. Abbiamo una brillantissima ostetrica di 23 anni, figlia di un medico e un’ostetrica. Quando i talebani hanno preso il potere il padre ha impedito alla moglie di andare a lavorare e alla figlia di continuare a frequentare la Facoltà di Medicina. La ragazza, senza l’appoggio del padre, ha trovato lavoro da noi e sta mettendo da parte i soldi sperando che riapra l’Università. Ne abbiamo un’altra invece la cui famiglia, pur potendo emigrare negli USA, ha deciso di restare. È laureata in Medicina ma non può abilitarsi e il padre ce l’ha portata da Jalalabad, l’ha fatta stare in un ostello a Kabul per mesi e ora che hanno chiuso anche gli ostelli alle studentesse, la fa ospitare da parenti. A volte”, conclude, “capita che siano famiglie appartenenti a classi umili a fare di tutto per continuare a far emancipare le ragazze”. Secondo la dottoressa Picucci le pazienti della maternità “nonostante tutti i loro guai e “pezzi rotti” raramente vanno via demoralizzate, hanno sempre la speranza. Sono donne forti. Sono capaci di aspettare. La loro forza non è stata intaccata neanche questa volta”. 

   Non c’è invece contraddizione nei dati di quella che il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha definito “la crisi umanitaria più grave del mondo”: 6 milioni di afghani sono a un passo dalla carestia, il 97% della popolazione è sotto la soglia della povertà, e 28,8 milioni cioè 2/3 del totale sono bisognosi di assistenza umanitaria. Dal Centro chirurgico per vittime di guerra di Kabul, la medical coordinator Eleonora Colpo, “orgogliosamente” infermiera, da 4 anni in Afghanistan, testimonia uno spaventoso aumento di povertà e criminalità: “Anche persone laureate o altamente specializzate si propongono per lavori umili come le pulizie. E tanti disoccupati entrano nella malavita. Ma c’è comprensione. Un infermiere mi ha detto: “le persone che commettono atti criminali sono come me. Sono fortunato perché ho avuto un’opportunità in più di studiare e ho un buon posto di lavoro in questo ospedale, ma se fossi disoccupato probabilmente rischierei anche io di essere costretto alla criminalità””. Anche l’Occidente è responsabile di questa crisi per aver tagliato i fondi che costituivano il 75% della spesa pubblica e il mantenimento del servizio sanitario, congelato 10 miliardi di rimesse afghane nelle sue banche, e disatteso le promesse di accoglienza. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, lo scorso anno su più di 270.000 afghani rifugiati nei Paesi confinanti bisognosi di protezione permanente, l’Unione Europea ne ha accolti 271: lo 0,1%. Al di là delle scelte politiche, secondo EMERGENCY l’imperativo umanitario impone da che parte stare.

   EMERGENCY è in Afghanistan dal 1999 quando, all’epoca della guerra tra l’Alleanza del Nord comandata dall’eroe nazionale afghano Ahmad Shah Massoud e i talebani, trasformò una caserma del Panjshir, la Valle dei mujaheddin, nel suo primo Centro chirurgico per vittime civili di guerra. Gestisce 3 Centri chirurgici, una maternità che assiste 600 parti al mese, 42 Posti di primo soccorso sparsi in 11 province, di cui 6 nelle prigioni. Ha curato più di 8 milioni e mezzo di pazienti. Ha formato nuovi medici e personale sanitario e al momento dà lavoro a più di 1.700 afghane e afghani.