Ellen Johnson Sirleaf

RITRATTO DI SIGNORA

foto e testo di Laura Salvinelli

 

 

   Il grande reporter Ryszard Kapuściński ha scritto che “chi vuole capire l’Africa dovrebbe leggere Shakespeare. Nelle tragedie politiche di Shakespeare tutti muoiono, i troni grondano sangue, e il popolo contempla muto e atterrito il grande spettacolo della morte” (La prima guerra del football, 2002). La Liberia fu fondata nel 1824 e dichiarata indipendente nel 1847 da un gruppo di ex schiavi americani liberati. Questi coloni americo-liberiani, schiavizzarono a loro volta le popolazioni indigene, e crearono un’oligarchia che governò fino al colpo di Stato del 1980, quando un militare appartenente a una tribù nativa, Samuel K. Doe, liquidò il Presidente Tolbert e il suo regime di apartheid. Il nuovo si rivelò anche più crudele del precedente, precipitando il Paese nell’inferno: alla dittatura dell’avido e sanguinario Doe seguì quella del “genio dell’orrore”, il “killer psicopatico” Charles Taylor, e una feroce guerra civile di quattordici anni, costata la vita a duecentocinquantamila persone su una popolazione di tre milioni. Effettivamente, la storia della Liberia potrebbe sembrare una delle più fosche tragedie di Shakespeare. Fino a che, come documentato nel film Pray the Devil Back to Hell (2008) di Abigail E. Disney e Gini Reticker, vincitore del miglior documentario del Tribeca Film Festival, le donne comuni, pescivendole e verduraie dei mercati, si svegliarono e realizzarono l’inimmaginabile. Queste donne sfinite dalle violenze della guerra, ma vibranti di vita, per la prima volta si unirono: cristiane e musulmane finalmente insieme, ispirate dalla figura biblica di Ester si vestirono di bianco, si legarono i capelli e senza ornamenti andarono a parlare con tutte le fazioni dei combattenti fino a che non li convinsero a partecipare ai tavoli di pace ad Accra. E quando dopo sei settimane ad Accra i vari signori della guerra ancora non si erano messi d’accordo, li chiusero a chiave senza elettricità, senza acqua né cibo fino a che non firmarono gli accordi di pace del 2003. Poi aiutarono l’ONU nel momento del disarmo, quando gli “esperti” non sapevano come fare a controllare migliaia di combattenti armati e sotto l’effetto di ogni tipo di droghe. Infine appoggiarono la loro candidata, Ellen Johnson Sirleaf, contribuendo decisamente alla sua vittoria nelle elezioni del 2005. L’inimmaginabile si era davvero realizzato: la fine della guerra, libere elezioni, e l’unica donna africana eletta capo di Stato. Le catene della schiavitù dopo più di centocinquanta anni erano finalmente spezzate.

   “Nella manifestazione di chiusura della mia campagna elettorale, un paio di giorni prima delle elezioni, tutte le donne chiusero i loro mercati, perché erano principalmente venditrici, portarono con sé le loro figlie, e tutte insieme riempirono le strade di Monrovia: fu un momento epocale, uno dei momenti più commoventi nella mia relazione con le donne di Liberia”. Madame Sirleaf mi racconta avvolta nel suo abito tradizionale dai colori di farfalla in una sala di registrazione del Ministero degli Affari Esteri, che è anche il suo ufficio. Benché si definisca razionalista, anche lei non usa il palazzo presidenziale infestato da troppi fantasmi. Anche questa è Liberia: oltre a quanto noi definiamo realtà, c’è un doppio livello che intesse la vita fatto di magia, oltre che di sorellanze, fratellanze e società segrete. Non solo i bambini soldato affidavano le loro vite al potere dei grigri, amuleti e pozioni magiche, ma anche i leader si sentivano invincibili grazie alla stregoneria. E il padre di Ellen, avvocato nonché il primo nativo eletto alla camera dei deputati, quando fu colpito da ictus poco più che quarantenne, attribuì la malattia senz’altro al juju: voodoo, stregoneria, magia. Ellen Johnson nasce quasi settantatré anni fa da questo ambizioso ed affascinante avvocato, figlio di un importante capo tribù e di una delle sue otto mogli, e da una donna forte e religiosa figlia di una venditrice di mercato e di un commerciante tedesco. Dunque, la sua carnagione chiara non dipende da ascendenze americo-liberiane, ma da un quarto di sangue tedesco, così scrive nella sua bella autobiografia This Child Will Be Great (2009). I privilegi della sua famiglia sono frutto del ward system liberiano: “E’ un sistema di tutela in cui da una parte ci sono famiglie svantaggiate, specialmente nelle zone rurali, e che non possono offrire opportunità ai figli, dall’altra famiglie che prendono in affidamento i bambini. A volte i bambini devono lavorare, e questa è la parte brutta della storia, ma la parte bella è che vengono loro offerte possibilità a cui non avrebbero mai avuto accesso se fossero rimasti nelle loro famiglie di provenienza: l’istruzione, il nome” mi spiega pazientemente. Ed effettivamente questo sistema di affidamento, visto da molti come una forma di schiavitù, ha migliorato il destino della sua famiglia: il padre studiò grazie alla famiglia affidataria Johnson, e anche la madre, dopo un inizio difficile con una prima famiglia, passò a una seconda, dove fu accolta come una vera figlia. Tuttavia, la democratica Presidente sottolinea: “nel momento in cui il Paese si modernizza e si sviluppa anche nelle zone rurali, il ward system scompare perché i bambini non hanno più bisogno di lasciare le famiglie”. Piuttosto, se c’è un tratto della cultura africana che Mama Ellen non vorrebbe mai veder scomparire è quello della famiglia allargata: “Non sarei dove sono adesso senza il sistema della famiglia allargata, perché ho potuto continuare a studiare solo lasciando i miei figli a mia madre e a mia suocera. Famiglia allargata significa non abbandonare mai i bambini e gli anziani.”

   La diciassettenne Ellen, di famiglia privilegiata ma che ha mantenuto saldi legami con le sue origini tribali, sorprende tutti sposando “Doc” Sirleaf, e in men che non si dica si ritrova madre di quattro figli maschi. Altrettanto presto, purtroppo, il suo Principe Azzurro si rivela geloso, violento e alcolista. Con quattro figli non deve essere stato facile, ma trova una via di fuga quando Doc decide di continuare gli studi negli Stati Uniti: lei vince una borsa di studio, lascia appunto i figli alla madre e alla suocera, e parte con lui. Torna due anni dopo ed ottiene una posizione dirigenziale al Dipartimento del Tesoro, e affronta il divorzio, che in Africa a quel tempo per le donne significava la perdita dei figli. Non si sposerà più Ellen Johnson Sirleaf, anche se avrà una lunga relazione conclusa solo con la morte del compagno, per non perdere il nome con cui aveva cominciato la sua lunga carriera, per non creare altri ostacoli ai figli, per concentrarsi sul suo lavoro, e in fondo anche perché il suo bisogno di compagnia sarà sempre più soddisfatto dalla convivenza con l’amatissima madre. Ottenuto il master in pubblica amministrazione ad Harvard, Ellen si trasforma nella “Signora di Ferro” ricoprendo ruoli professionali e politici fino ad allora impensabili per una donna, specialmente africana: è la prima donna ministro delle Finanze in Liberia, presidente della Banca liberiana per lo sviluppo e l’investimento, vice presidente dell’ufficio di Nairobi di Citibank con responsabilità di tutte le attività della banca in Africa, alto funzionario prestiti della Banca Mondiale, vice presidente della Banca dell’Equatore e direttore dell’ufficio Africa del Programma Sviluppo (UNDP), col ruolo di assistente segretario generale delle Nazioni Unite. Questa folgorante carriera è inframmezzata da prigionie, esilii e violenze culminate nel giorno più drammatico della sua vita: in seguito al fallito golpe contro Doe, in cui non aveva avuto nessun ruolo, fu trascinata di notte in quell’incubo della base militare Shefflin, dove minacciarono di stuprarla e di seppellirla viva nella sabbia. La scampò grazie al suo sangue freddo, oltre all’aiuto di alcuni soldati che pur lavorando per il tiranno non avevano perso la loro coscienza.

   Non è facile intervistare Madam Sirleaf. L’incontro è avvenuto solo grazie alla sollecita collaborazione dell’ambasciatore at large Mohammed Sheriff, e di Massimo Tumolo e Nicola Cozza dell’Istituto Superiore di Sanità. La Presidente è madrina del progetto dell’ISS, finanziato dalla Cooperazione Italiana con fondi del Ministero degli Affari Esteri, di ricostruzione e potenziamento della Facoltà di Medicina dell’Università della Liberia, il Dogliotti College. A fine guerra in Liberia c’erano 90 medici, di cui solo 50 liberiani. “E’ meraviglioso, è uno dei migliori contributi che un partner ci possa dare. La formazione di nuovi medici liberiani è importantissima, e permette di stringere anche relazioni straordinarie: desideriamo tornare ai vecchi tempi in cui l’Italia e la Liberia avevano forti legami nel settore privato, e se possiamo ricominciare dal Dogliotti College, siamo felici di essere sulla giusta strada” commenta entusiasta la Presidente. 

   Ellen Johson Sirleaf ha governato per sei anni un Paese completamente devastato con realismo, severità e sobrietà. E realistico è il suo commento sull’attuale crisi nella confinante Costa d’Avorio, causata dallo scontro tra il Presidente eletto Ouattara e lo sconfitto Gbagbo, sfociato in guerra civile: “Ogni conflitto nell’area ci riguarda. Abbiamo accolto più di centomila profughi ivoriani, e alcuni dei profughi che hanno partecipato alla guerra civile sono liberiani: questo ha messo a rischio i nostri progetti di collaborazione, però la buona notizia è che la guerra è finita e dunque speriamo che l’amicizia continui, che i profughi rientrino in patria, e che possiamo essere in grado di rispondere ai bisogni di chi resterà”.  Tuttavia realismo, severità e sobrietà non le impediscono sogni entusiastici  sul futuro della Liberia dei prossimi anni: “ Ho grande fede nel futuro del nostro Paese. Negli ultimi cinque anni abbiamo costruito solide fondamenta sviluppando la nostra visione delle cose e le nostre politiche, promulgando le nostre leggi, facendo funzionare le nostre istituzioni, potenziando le nostre capacità e strategie, rafforzando la nostra credibilità e la nostra solvibilità, costruendo o ricostruendo le nostre relazioni con partner bilaterali e multilaterali. La Liberia è pronta a decollare”. Il prossimo 11 ottobre si presenterà di nuovo alle elezioni, e questa volta è la candidata favorita: “ Sarò giudicata per quello che ho realizzato”. E considerando che nel Paese ci sono ancora molti fedeli a Taylor, ora in attesa della sentenza del processo al tribunale dell’Aja per crimini di guerra, e che fra gli altri si presenterà alle elezioni anche l’attuale Senatore nonché ex combattente Prince Johnson, che interrogò il dittatore Doe mentre i suoi sbirri lo torturavano per dieci ore, speriamo che i pronostici siano giusti.

   Anche se si è fatta l’ora di cena, Madam Sirleaf ha un altro appuntamento. “Il mio sogno era di diventare Presidente della Repubblica ma da quando ho capito quanto lavora la Signora, ho cambiato idea” mi dice amichevolmente il fonico del Ministero degli Affari Esteri. E con gesto abituale, come gli altri dipendenti del Ministero, si sfila la giacca appena la Presidente non è più in vista.