A portrait of Marta Abbado

I SOGNI NON MUOIONO

Un ritratto di Marta Abbado

foto e testo di Laura Salvinelli

 

 

   Idealista, avventurosa, poliedrica, generosa: non è facile riassumere in un breve ritratto Marta Abbado, con cui ho avuto la fortuna di lavorare per la documentazione dei progetti dell’ONG CISP (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli) in Niger. Marta è nata 48 anni fa a Milano “con una pessima salute, che mi ha accompagnato tutta la vita”; si è laureata in Orientalistica a Firenze; ha lavorato come archeologa in Siria per 17 anni; è stata insieme a suo marito per 22 anni, seguendolo in Zambia, Costa d’Avorio, Belgio, Etiopia e Niger; ha lavorato per l’Università di Tubinga, una delle migliori al mondo per l’archeologia, come responsabile della documentazione e poi direttore sul campo dello scavo di una tomba reale in Siria; è stata sequestrata nell’Università di Cocody ad Abidjan nel 2004 dalla milizia ultra-nazionalista dei Giovani patrioti ed è riuscita a liberarsi da sola nella stessa giornata; ha lottato con amore e rigore scientifico per 10 anni per avere suo figlio Aimo nato 9 anni fa grazie alla fecondazione in vitro; lavora in Niger con l’ONG CISP dal 2009, dal 2013 come sua Rappresentante nel Paese. In una lunga intervista nella sua casa a Niamey fissiamo insieme dei punti chiave della sua storia.

Il sogno e l’archeologia

   “Il filo conduttore di tutto, ciò che mi porta e mi sostiene, sono i sogni. Da bambina, influenzata anche dalle letture che mi facevano fare i miei genitori e i racconti e i lavori del mio babbo architetto, sognai di essere un’archeologa che lavorava in Siria, in Medio Eufrate, sul II millennio avanti Cristo. Il giorno del mio 8° compleanno decisi, e misi anche per scritto in un temino in classe, che quella sarebbe stata la mia professione. Lo è diventata. Come archeologa in Siria ho realizzato anche il sogno di poter insegnare in quella che, invece della Scuola del Disegno, chiamavamo la Scuola dei Pazzi, perché sognavamo! I miei ‘fratelli’ siriani, i miei allievi, erano operai che lavoravano 3-4 mesi negli scavi archeologici, 2 mesi nei campi di cotone e passavano il resto dell’anno giocando a carte. Sono diventati bravissimi disegnatori, si sono re-iscritti a scuola, 6 su 14 si sono laureati e hanno ottenuto il lavoro a tempo pieno alla facoltà di Archeologia dell’Università di Tubinga. Il sogno per me è fondamentale per prendere le decisioni, per avere un’idea e seguirla, innamorandomi ogni volta: sempre d’amore si tratta. L’importante è fare non quello che capita, ma capire e scegliere bene per il futuro.”

Quello che si fa con chi si fa e il lavoro umanitario

   “Sono in Niger per il grande amore che ho per questo Paese e per il mio lavoro col CISP. Questa esperienza di lavoro è ancora più ricca e formatrice. Mentre l’altra era il mio sogno di bambina che si avverava, questa ha a che fare con la maturità per le decisioni e la responsabilità. Non ho mai lavorato da sola, perché in gruppo si pensa meglio e si può fare di più, e tutto per me è legato alle persone con cui lo faccio e alla speranza di migliorarmi, che in un certo tipo di ambiente è più facile. Il CISP è un’ONG fatta da persone molto serie, con valori importanti, educate, che permettono di lavorare al meglio: questo è il suo valore aggiunto. Il mio valore aggiunto, oltre di vivere qui da 10 anni, è di non essere un’umanitaria standard. Da archeologa so che bisogna guardare lontano - allo sviluppo oltre l’emergenza - e che per questo è fondamentale lavorare con la cultura perché la durabilità dei risultati dei progetti dipende dall’impatto culturale. Sono anche consapevole che entrare in un equilibrio comporta rompere quell’equilibrio, in archeologia come nel mondo umanitario, quindi bisogna prestare molta attenzione a quello che si fa.”

Fecondazione in vitro e realizzazione del sogno di avere un figlio

   “La ricerca di avere un figlio è stata totalizzante da quando ho avuto un’emorragia interna che mi ha impedito di averlo naturalmente. Ci sono voluti 10 anni e abbiamo deciso per la fecondazione in vitro in Belgio. In Italia dal referendum del 2005 è vietato congelare gli embrioni: secondo me una grossa vergogna, perché per chi non può fare figli, cioè le persone a cui interessa senza scandali la fecondazione in vitro, questa non è affatto una sperimentazione, ma al contrario qualcosa che rende possibile l’amore puro. In Niger si dice che i bambini sono di tutti, le donne ti benedicono il ventre e recitano preghiere per aiutarti, e Aimo - nome dato in onore al partigiano di Dicomano Aimo Frittelli - è in assoluto il frutto di un grosso lavoro di solidarietà, una delle esperienze più importanti e forti della mia vita grazie all’appoggio di tutti. Anche in questa ricerca sono stata guidata dal sogno, che m’incoraggiava a trovare la soluzione del problema e a farcela.”

Casa

   “Non sono per niente attaccata ai beni materiali visto che finora ho vissuto – le ho contate – in 35 case, calcolando solo quelle in cui sono stata per più di 2 mesi. Ho 2 concetti  del sentirmi a casa. Ora ‘casa’ è il Niger, come prima lo sono stati l’Italia, le missioni in Siria, Abidjan o l’Etiopia. Ma ‘casa’ sono sempre le persone più importanti della mia vita: Aimo, i miei fratelli, i miei genitori - il mio babbo è morto 2 mesi dopo al nascita del mio bambino, la mia mamma è il Sole attorno a cui tutti ruotiamo – e mio marito che, anche se ormai siamo separati, è stato e sempre sarà l’amore più grande della mia vita. La condivisione dei sogni con i miei fratelli e mia sorella – Michele, ingegnere informatico, Simone, architetto, Dimitri, geologo che lavora in uno studio di assistenze tecniche ed Elena, musicologa di musica antica – mi emoziona sempre. Loro mi aiutano a mettere in pratica i miei. Stiamo realizzando quello di restaurare una casa in campagna tutta per noi, per stare insieme dopo tanto viaggiare e per invitare i nostri amici. Siamo tutti molto diversi ma uguali nel fare quello che ci piace nel modo migliore, dando sempre il meglio, come ci hanno insegnato per generazioni in famiglia. Per noi il lavoro non è un sacrificio ma un piacere. Questo modo di essere, che ritrovo nei miei fratelli, cugini, genitori, zii e nonni, bandisce ogni superficialità e banalità: se non si sa qualcosa, si tace. E’ anche leggero e giocoso, ma allo stesso tempo sempre estenuante. E vale dalle piccole cose alle scelte politiche, come quando per esempio mio zio Marcello fece domanda per diventare direttore del Conservatorio di Milano e mio nonno che era vicedirettore diede le dimissioni prima che ci fosse il concorso, innanzitutto per non essere il vicedirettore di suo figlio e poi per non avere nessun conflitto di interesse – o almeno io le metto in quest’ordine: non vedrei il nonno come braccio destro del figliolo visto che era stato il suo maestro.”

Le favole della nonna, Maria Carmela Savagnone Abbado

   Prima di andar via, Marta mi dà un piccolo libro prezioso, che mi fa aggiungere un ultimo punto chiave della sua storia: Maria Carmela Abbado, La cravatta magica e altre fiabe, Archinto, 2017. E’ una raccolta di fiabe che l’autrice raccontava ai figli e ai nipoti, lasciate in forma di manoscritti - amorevolmente numerati e editati - in una valigia e scoperte dal nipote Claudio Pestalozza alla morte della sua mamma Luciana. La nonna di Marta nacque a Palermo nel 1899. Dotata di orecchio assoluto, pianista, sposò il violinista Michelangelo Abbado e insieme si trasferirono a Milano, dove educarono a dare il meglio di sé i loro figli Marcello, pianista, Luciana, direttore di edizioni e festival musicali, Claudio, direttore d’orchestra, e Gabriele, architetto, il futuro papà di Marta. Durante la seconda guerra mondiale nascose tanti ebrei, e fu per questo arrestata 4 volte e torturata. Morì durante una vacanza in casa del figlio Claudio ad Alghero nel 1986. Le sue sono fiabe classiche, piene di fate, maghi, orchi, draghi e animali parlanti. La vera magia però, come scrive, è nell’amicizia. E pure, aggiungerei, nel potere della musica, nello sguardo poetico, nell’antica saggezza e nella grazia della scrittura. Quando Marta nel 2004 è stata sequestrata dai Giovani patrioti nell’Università di Cocody ad Abidjan, ha attinto anche alla forza della nonna arrestata a San Vittore, che si autosuggestionava di “non essere lì”, per affrontare le botte e la paura, e vedere nel problema la sua soluzione. E continua a seguire i sogni, che “si trasformano come legna che arde di un fuoco infinito, perché c’è sempre una nuova cosa da raggiungere.”