AFGHANA. Reportage dal Centro di maternità di EMERGENCY nella Valle del Panjshir

Centro di maternità, sala post-partum, 2019. Zarghona, 20 anni, è felicissima perché il suo primo figlio è maschio. Non è mai andata a scuola. Il suo matrimonio è stato organizzato dai genitori. Suo marito ha 21 anni, è un poliziotto.  Le donne che si rivolgono al Centro di maternità di Anabah si trovano in uno spazio per sole donne, dove gli uomini non sono ammessi, condizione che offre loro un periodo di sospensione dalle norme sociali che regolano il comportamento delle donne in una sfera pubblica interamente maschile. Inoltre, il divieto assoluto di introdurre armi all'interno delle strutture ospedaliere di EMERGENCY ha un effetto rilassante su tutte le pazienti.  «Qui è pulito e le ostetriche rimangono con le pazienti e le controllano tutto il tempo». Donna di Kapisa  «Negli ospedali privati dobbiamo comprare tutto, dalle medicine al cibo, qui è tutto gratuito». Donna di Kabul
Centro di maternità, sala ginecologia, 2019. In primo piano Asuda, ostetrica, 25 anni, due figli nati nell’ospedale di Anabah, uno di 3 anni e uno di 3 mesi, che sta ancora allattando.   «Le donne afghane desiderano le nostre stesse cose. Quando mi sono accorta che le guardie facevano lasciare le borsette dei trucchi all'ingresso, ho messo a disposizione degli armadietti con la chiave, perché potessero depositarle dentro l'ospedale. Amano il make-up, le acconciature, gli orecchini, i vestiti. Nel pomeriggio, quando non si vedono più in giro gli uomini della manutenzione, si tolgono i veli. E studiano, lavorano, si impegnano». Monika Pernjakovic, ex Coordinatrice medica del Centro di maternità e del Centro chirurgico e pediatrico di EMERGENCY ad Anabah.
Centro di maternità, sala operatoria, parto cesareo, 2019.  Il parto cesareo non è l’attività principale del Centro di maternità di Anabah perché è pericoloso per le gravidanze successive, e viene praticato solo quando il parto naturale sarebbe troppo rischioso. Nel resto dell'Afghanistan, e in particolare nei centri urbani, sempre più donne vengono indotte, quasi sempre a scopo di lucro, a sottoporsi a tagli cesarei. Accade inoltre che alcune donne che hanno avuto un parto cesareo lo nascondano nelle gravidanze successive: la nascita è considerata dalla maggior parte delle persone un evento naturale e la paura di dover tornare in sala operatoria spinge alcune a celare informazioni o addirittura a non andare in ospedale per i parti successivi.<br>Sei nato con un potenziale sei nato con la bontà e la fiducia. Sei nato con ideali e sogni. Sei nato con la grandezza. Sei nato con le ali. Non sei stato concepito per strisciare, quindi non farlo. Hai le ali. Impara ad usarle e volare. Rumi
Centro di maternità, sala operatoria, parto cesareo della figlia di Vida, 28 anni, 2019. È il quarto cesareo di Vida.<br>Un istante di gioia: io e te insieme sotto il pergolato. Due figure e due volti ma un'anima sola: io e te. Rumi
Centro di maternità, sala operatoria, la Coordinatrice medica Monika Pernjakovic (destra) e la ginecologa Keren Picucci (sinistra), 2019.  «Sono stata più a lungo un’infermiera che un essere umano! Scherzi a parte, sono infermiera da 35 anni e ora ne ho 48. Sono di Belgrado e ho lasciato il mio Paese nel 2011 per lavorare con le organizzazioni umanitarie. Ho una figlia di 22 anni, ho aspettato che fosse grande abbastanza prima di partire, e l’ho fatto innanzitutto per motivi economici: la guerra ci ha lasciati in condizioni penose. Fra lo staff di EMERGENCY c’è una piccola comunità di serbi perché la scuola per infermieri in Jugoslavia era ottima, e purtroppo abbiamo anche molta pratica in chirurgia di guerra. Amo questo lavoro soprattutto per questo staff! Qui ho più di 700 amici, 500 in Panjshir e 200 a Kabul, che mi fanno sentire un’infermiera afghana». Monika Pernjakovic  «Sono fortunata. Innanzitutto, dovrei pagare io EMERGENCY perché manco se avessi lavorato per 50 anni in Italia avrei visto quello che vedo qui, dove veniamo messi molto alla prova come medici. Siamo ripagati dal miracolo della guarigione, che si traduce in un’enorme speranza e positività per chi lavora per la salute e aiuta ad andare avanti. Per di più nell’ostetricia c’è un elemento gioioso: alla fine della giornata ho visto nascere tanti bambini sani perché, grazie al cielo, la maggior parte sta bene. E allora di cosa dovrei lamentarmi?». Keren Picucci
Rottami di carri armati sovietici nella Valle del Panjshir, 2019.  L'Afghanistan è la tomba degli imperi e il cimitero degli arsenali. Ovunque sono disseminati carri armati, autoblindo e Mig ormai ridotti ad ammassi di ruggine, a testimonianza della disfatta dell'Armata Rossa. Oggi a questi si aggiungono i rottami lasciati dagli americani in seguito a un’operazione di smantellamento su larga scala.

 

 

 

 

UN’OASI DI DONNE PER LE DONNE

A SAFE HAVEN BY WOMEN FOR WOMEN

Virginia Vicario

 

La mostra fotografica AFGHANA di Laura Salvinelli documenta quella che a molti era sembrata «una pazzia», ovvero la scelta di EMERGENCY di dare vita a un centro di maternità nell’isolata Valle del Panjshir. Avviato nel 2003, il Centro si è dimostrato una struttura necessaria e fondamentale per la salute materno-infantile dell’area, offrendo gratuitamente assistenza ginecologica, ostetrica e neonatale in un Paese dove la mortalità materna è 99 volte più alta di quella registrata in Italia e il tasso di mortalità infantile è 47 volte più alto. L’importanza del Centro non riguarda soltanto la prevenzione e l’assistenza sanitaria: la maternità di Anabah è anche un polo formativo per il personale afgano, tutto al femminile.

Il lavoro di Laura Salvinelli, realizzato nel 2019, ci conduce in un’oasi protetta di donne per le donne. Qui lo staff locale e le pazienti possono dedicarsi a sé: le prime trovano nello studio e nel lavoro un’autostima insperata nonché un importante ruolo sociale; mentre le seconde, libere dalle pressioni esterne (i parenti non sono ammessi), vivono un momento di libertà inaspettata. All’esternole carcasse dei carri armati testimoniano una guerra senza fine. Il percorso della mostra ci accompagna nel buio della sala parto: le luci di taglio ne svelano man mano i dettagli, fino alla danza finale del nuovo nato.

Cosa rimarrà di tutto questo ora che i talebani hanno riconquistato il potere? Per ora EMERGENCY non lascia l’Afghanistan, ma cosa accadrà alle donne afgane dello staff? Potranno continuare a lavorare? L’appello della Ong a «non abbassare l’attenzione mediatica e politica su quello che sta accadendo» va sostenuto. Così avrebbe voluto Gino Strada.

 

Laura Salvinelli’s photographic exhibition AFGHANA documents what many considered “madness”: EMERGENCY’s choice to create a maternity centre in the isolated Panjshir Valley. Launched in 2003, the Centre turned out to be a necessary and fundamental structure for the health of mothers and children in the area, offering free gynecological, obstetric, and neonatal care in a country where the maternal mortality rate is 99 times higher than in Italy, and the infant mortality rate is 47 times higher. The Centre’s importance does not only concern prevention and medical care: the Maternity Centre of Anabah is also a training centre for the Afghan staff, exclusively composed of women.

Laura Salvinelli’s work, completed in 2019, shows us a safe haven, built by women for women. Here, the local staff and the patients take care of themselves. Through studying and working, the former can gain a new sense of self-worth and increase their social standing; the latter, free from external pressure (since relatives are not admitted) can experience a moment of unexpected freedom. Outside, the carcasses of tanks serve as a reminder of a never-ending war. The exhibition takes us into the dimly lit birthing room; the sidelight gradually reveals its details, until, finally, we witness the dance of the newborn.

What will remain of all this, now that the Taliban have regained power? EMERGENCY will not leave Afghanistan for now, but what will happen to the Afghan women of the staff? Will they still be able to work? The ONG’s plea to “sustain the media coverage and political focus on what is happening” must be supported. It’s what Gino Strada would have wanted.

 

Catalogo / catalogue: https://emporium.treccani.it/it/editoria/libri-darte/afghana